La notte è una donna,
diventa delle ali
e di mani , strumento di penna.
Mi guarda impudente
negli occhi,
mi si para davanti.
E' dentro di me,
ma sguscia e nell'inevitabile,
assume il nero confronto, si serve del setacciato del giorno.
Scorda del fratello inverso, ne mostra il lato più fosco,
muta il suo facile e distratto.
La luce,via su carri conduce,
se ne fa di morte esecutrice.
E, come della peste i monatti,
si fa scia dei suoi ricordi o lutti.
Sui baratri incoscienti mi spinge,
trascoloro e m'annebbio,
ecco prende forma di me
la sfinge.
Immobile mi fissa e reca
bilanci e gronda di ferite,
pioggia di sabbie irruvidite,
e non so se le ho inferte
o le ho subite.
Mi trapassa di lame di tenacia,
come le mie che sono vane,
impotenza fragile rimane
che fuori dalla convenienza,
se di quel codice e
dall'altrui attinenza,
non voglio farne mai una meta,
condannata anche di lei analfabeta.